E così il 30 aprile 2003 i giornali diedero l’annuncio (vedi post precedente)
che l’inceneritore sarebbe stato costruito al Gerbido.
Seguirono i rituali proclami dei sindaci fino al mitico "dovranno
passare sul mio corpo", ma era una commedia e l'interessato sembra
godere ancora di discreta salute.
Cosi morbosi desideri di un importante pezzo della politica torinese
furono soddisfatti. Nel 2013 venne
inaugurato l’impianto e pochi anni dopo l’inceneritore fu venduto ai privati. E
“privati”, a Torino significa IREN. Ed anche questo era stato "predetto" fino dal
2003.
Perché per certi politicanti il bello di un inceneritore è che lo si
costruisce strillando che c’è un’emergenza quasi non avessero contribuito a
crearla con la loro inerzia. E poi lo si vende ai privati. Perché e percome lo
si venda ai privati non lo scrivo perché poi c’è chi si offende e strilla che
così si aiutano i fascisti.
Ma fermiamoci un poco prima.
Costruire un inceneritore per risolvere il problema dei rifiuti è una sciocchezza. Non è questione di opinioni, è una sciocchezza documentata. E chi “rifiuta i rifiuti” (perché si chiamerebbero così, altrimenti?) la accetta facilmente, perché crede / spera di avere meno fastidi.
I rifiuti sono un grosso problema ambientale, ma per risolverlo - come per tutti i problemi che sono determinati da molti fattori - servono strategie complesse. Che sono definite dalla normativa europea e dalla normativa italiana (fino dal 1996).
Le strategie per la riduzione e gestione dei rifiuti son o state realizzate in molti Paesi europei, che nei decenni passati hanno messo in atto politiche per i rifiuti, che nell’ambito di reali politiche di riduzione dei rifiuti, riutilizzo e riciclaggio controllano la quantità di rifiuti. Ed hanno anche costruito impianti di incenerimento correttamente sottodimensionati. E, scopriremo, in questo contesto costruire inceneritori all’interno delle città, non è una scelta criminale. Anzi.
In Italia, invece, la politica sceglie di aggiungere un problema - l’inceneritore - ad un problema esistente, i rifiuti.
Negli anni ’60 uno slogan degli ecologisti americani era “Pensare globalmente ed agire localmente”.
Lo slogan non significa solo che occorre attuare in ogni posto le scelte corrette per l’ambiente e per la comunità che ci vive. Significa anche che i grandi progetti (le grandi opere) sono quelli costituiti da tantissime piccole azioni tra loro coordinate.
Le altre non sono “grandi”, sono solo “opere grosse” che ci hanno condotto nella situazione attuale. Ma servono agli affari, quindi continuano.
“Pensare globalmente ed agire localmente” (che dovrebbe essere una cosa normale), significa che serve un cambiamento di prospettiva.
Se affidiamo le soluzioni ambientali alla libertà di impresa, le imprese proporranno soluzioni modulari, sempre uguali, che non richiedono un’importante progettazione locale. Soluzioni coerenti con la mission di un’impresa; fare profitto.
Non dobbiamo scandalizzarci con le imprese, perché fanno solo il loro mestiere. Dobbiamo prendercela con la politica. Che è inadeguata, oppure corrotta.
Nel caso dell’inceneritore del Gerbido e dell’ipotesi di ampliamento dell’inceneritore del Gerbido le vicende fanno emrgere tutta la miseria dei protagonisti. L’impianto fa molto profitto, si sa. Non solo tramite la TARI.
Se gli facciamo fare ancora più profitto, chissà che non ne venga fuori qualche benemerenza. Il percorso non è semplice, ma questo lo vedremo un’altra volta.
Carlo
Fine della seconda parte – (continua)
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