Morti sul lavoro: luoghi comuni e soluzioni farlocche
Alcuni giorni fa vi ho "regalato" un post sui morti sul lavoro promettendo un secondo post sui "luoghi
comuni e sulle soluzioni" che vengono normalmente presentate.
comuni e sulle soluzioni" che vengono normalmente presentate.
Non trattandosi di un post urlato, non è piaciuto molto. Qualcuno direbbe "perché alla gente piace solo indignarsi". Ma io sono ottimista; e le promesse sono promesse. E poi, magari, il post era solo troppo poco cool!
Vediamo allora un po' di luoghi comuni e soluzioni che si sento abitualmente proporre...
“Occorre assumere Ispettori per gli Ispettorati”
E quello che dicono partiti, giornalisti e, ahimè, perfino alcuni sindacalisti.
Ma dopo l’istituzione del SSN (il 30 giugno 1981) le competenze di prevenzione e sicurezza nei luoghi di lavoro sono state affidate ai Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle ASL. E anche se il Dlgs 81/08 ha nuovamente dato alcuni limitati compiti agli “Ispettorati del Lavoro” (oggi Servizi di Ispezione del Lavoro delle Direzioni Provinciali del Lavoro), le attività restano incentrate sugli SPreSAL delle ASL.
Non è una questione di bandiera; le attività di prevenzione e sicurezza del lavoro sono attività complesse e multidisciplinari. Coinvolgono oltre che “tecnici della prevenzione” (oggi laureati nelle disciplina con laurea triennale o magistrale), medici e ingegneri. E nella Regioni avanzate chimici , psicologi ed eventualmente altro ancora.
E l’efficacia di queste attività è fortemente condizionata dall’essere inserite in programmi che quasi sempre richiedono anche altre funzioni (informazione, assistenza…)
Chi dopo stragi sul lavoro strepita per dare ispettori agli ispettorati, quanto è ignorante e quanto è in malafede?
“Come mai c’è questa confusione? E poi, perché manca il personale?”
Per diversi motivi, tra cui anche spiccioli interessi di bottega. Ma l’aspetto principale è che le ASL e le Regioni non danno visibilità a queste attività.
Che il personale manchi, è vero.
Ma la soluzione è semplice. Se l’ASL non assume personale per la sicurezza sul lavoro, allora la Regione deve svolgere una funzione vicariante e assumere (o far assumere) personale per l’ASL. E se neppure la Regione interviene, è il Ministero che deve svolgere una funzione vicariante.
Ma seve anche che la Regione garantisca una formazione di alto livello agli operatori degli SPreSAL e garantisca la motivazione (anche solo evitando di penalizzare le attività per la sicurezza e salute sul lavoro).
“Si muore sempre di più!"
Ogni morto sul lavoro è un morto di troppo.
Ma non è vero che si muoia sempre di più.
Vediamo. In primo luogo l'informazione dei media si basa su “dati INAIL “estemporanei e riporta affermazioni del tipo “Quest’anno già 3 morti in più!”.
Chiunque può comprendere che questi dati estemporanei servono solo a fare sparate giornalistiche.
I "dati buoni" sono sempre quelli dell’INAIL, ma sono quelli dei flussi informativi INAIL – Regioni. Sono dati che arrivano con un paio di anni di ritardo, perché i dati sugli infortuni ed i dati sulle aziende richiedono tempo per essere validati (l'INAIL è un'assicurazione e molti casi, specie se gravi, richiedono temo per essere definiti).
Ma questi dati oltre ad essere affidabili, permettono il calcolo di tassi di infortunio e di tassi standardizzati per comparto lavorativo. Insomma, sono dati che permettono confronti.
Comunque oggi si muore di meno. Si muore troppo, ma si muore meno. I 1.400 morti per infortunio lavorativo all’anno possono esser confrontati con i 4.200 morti di 60 anni fa. Solo che allora non si considerava l’agricoltura e non si consideravano gli infortuni stradali, che oggi causano circa metà dei morti sul lavoro.
Comunque è vero che, dopo grandi risultati, negli ultimi 2 decenni il numero dei morti non è sceso.
Si potrebbe fare come fa qualcuno ed attribuirsi il merito delle riduzione degli infortuni gravi. Ma gli infortuni sono scesi sicuramente anche per l’impegno e la professionalità degli operatori dei Servizi pubblici di prevenzione. Ma un ruolo fondamentale è stato giocato dai lavoratori, dai sindacati, dai media che hanno prestato attenzione. E dalle aziende. Si perché le aziende hanno investito molto. Non tutte. E non sempre gli investimenti sono stati spontanei. Ma le aziende non sono tutte uguali…
“Servono più controlli!”
Si servono più controlli. Ma devono essere pianificati razionalmente ed affiancati da altre attività: informazione assistenza, comunicazione mediatica.
Ma occorre ragionare su cosa serve fare.
Sparare i grandi numeri, fa impressione, ma è fuorviante. Ci sono aziende dove servono controlli periodici, anche ravvicinati, ed altre dove si potrebbe anche non andare mai, salvo qualche controllo “Spot” tanto per non indurre in tentazione…
Ed in ogni caso, diffidate da chi dice “bisogna controllare tutte le cose”. Tecnicamente, non si può realizzare. E quando serve servono controlli differenti Su cose differenti, magari fatti da persone differenti con diverse capacità.
“Perché i morti sul lavoro non diminuiscono?”
Il numero di morti sul lavoro dipende da molti fattori. Le lotte operaie per la sicurezza sul lavoro e contro la monetizzazione del rischio hanno portato alla riduzione dei rischi ed agli attuali modelli prevenzionistici (le valutazioni dei rischi sono un po’ figlie (degeneri) delle mappe di rischio. L’impegno di tanti ha portato ad una forte riduzione del numero di infortuni gravi. Parte della riduzione è dovuta anche al cambiamento dei settori produttivi e delle modalità lavorative.
Comunque, come in altri ambiti, si raggiunge una situazione in cui diventa difficile ottenere ulteriori risultati. Occorre cambiare, o meglio integrare, l’approccio delle attività pubbliche “iniziando” a stare dietro ad ogni singola modalità di infortunio mortale o grave per giungere a prevenire il maggior numero possibile di casi (idealmente tutti).
Ma le attuali attività di vigilanza, se non altro servono a mantenere la situazione attuale. Cambiamenti maldestri porterebbero ad un aumento dei morti sul lavoro.
“Ma adesso i morti sono aumentati!”
E’ ben noto che ogni volta che c’è una ripresa (anche una “ripresina”) i rischi aumentano ed aumenta il numero di morti sul lavoro. Perché la priorità delle aziende è produrre e si vuole cogliere ogni occasione. Così tornano in funzione macchinari e attrezzature altrimenti non utilizzati, massi lì un po’ come capita.
La controprova l’abbiamo nelle fasi di crisi, quando le aziende lavorano meno e dedicano anche un po’ di risorse (tempo lavoro) a mettere a posto cose prima non gestite bene.
Lo sapevamo, ma al Governo alle Regioni nessuno ha pensato di attrezzare i Servizi di prevenzione ed il mondo del lavoro ad affrontare la situazione.
“I morti da lavoro su strada non sono veri morti sul lavoro”
E’ un’affermazione ricorrente assolutamente falsa. Tecnicamente dobbiamo distinguere i morti da “infortunio in itinere”, cioè quelli che avvengono sul percorso casa lavoro dagli “infortuni stradali” che sono quelli che avvengono viaggiando per lavoro (camionisti, rappresentanti, consegne a domicilio, edili che vanno in cantiere, manutentori, ecc.)
Sono tutte morti sul lavoro vere, determinate da come si organizza oggi il lavoro.
La distanza casa lavoro è correlata al numero di incidenti (e morti sul lavoro). Da tre decenni si esalta la flessibilità ed il pendolarismo come fossero cose virtuose. In realtà sono prezzi che si pagano, con costi sociali, ambientali, minore qualità della vita, infortuni e morti.
Analogamente negli ultimi decenni sono aumentati sempre più i chilometri percorsi per lavoro. In parte è difficilmente evitabile, in parte deve essere evitato.
Anche in questo caso il “lavoro a Km zero” è una cosa buona a cui tendere.
Per chi vuole riflettere, nel decennio 2000 – 2010, in relazione al Piano europeo per la sicurezza stradale in Piemonte come in Italia si è dimezzato il numero di morti da incidente. Nello stesso periodo i morti sul lavoro da incidente stradale sono rimasti invariati. Quindi è raddoppiata la frequenza dai morti lavorativi sul totale dei morti da incidente stradale. E la cosa ragionevolmente va attribuita ad un raddoppio del lavoro su strada
“Gran parte dei controlli portano a Sanzioni! Quindi la situazione è gravissima”.
Anche in questo caso le cose cono più complicate. Per molti aspetti l’elevata frequenza di sanzioni dipende da come gestiscono l’attività i Servizi di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro delle ASL. Se c’è una buona capacità di selezionare “aziende critiche” la frequenza degli interventi di vigilanza con sanzioni (“interventi positivi”) sarà elevata. Se per i cantieri edili la quota di attività fatta “per avvistamento” è elevata, praticamente tutti questi interventi di vigilanza saranno “positivi”. Idem se gli SPreSAL operano molto a seguito di infortuni gravi o malattie professionali.
Insomma l’elevata percentuale di “controlli con sanzioni” non descrive la frequenza dei rischi sul territorio, ma descrive la capacità degli SPreSAL di operare bene.
“I morti ci sono perché non si fanno i controlli!”
Purtroppo non è così semplice. Ed i controlli non possono risolvere tutto. Attualmente, da analisi effettuate sugli esiti delle indagini di infortunio raccolte dall’Osservatorio infortuni mortali e gravi si stima che da 2/3 a 3 / 4 degli infortuni mortali sarebbe avvenuto anche se fosse stato condotto un intervento di vigilanza il giorno precedente.
Perché? Perché moltissimi infortuni mortali avvengono per operazioni estemporanee, per lavorazioni che si conducono una volta ogni tanto. O in occasione di manutenzioni. Occorre quindi mettere in atto altre azioni, non solo di formazione.
Per esempio servirebbe che alcune operazioni notoriamente ad alto rischio debbano essere programmate e possano effettuate solo in presenza di un responsabile per la sicurezza.
“Si, si. Si dice tanto sulle irregolarità, ma sono gli operai che non fanno attenzione e non rispettano le regole. Per esempio ieri ho visto di nuovo degli operai senza casco su un’impalcatura!”
Ora, a parte il fatto che il casco non serve in caso di caduta da un ponteggio, ma protegge dalla caduta di gravi o eventualmente da urti del capo contro sporgenze (ed è quindi normale che su un ponteggio, salvo specifiche fasi, non si usi il caso…) la disattenzione o la sottovalutazione del rischio sono fattori ben noti e considerati da decenni dalla prevenzione. La prevenzione si basa, nell’ordine, su misure tecniche, organizzative e procedurali. E dove serve si usano i DPI, perché l’occasionale distrazione è inevitabile
“E la sottovalutazione del rischio?”
E’ un problema serio. L’esperienza dell’evento grave è rarissima per le singole aziende. Consideriamo che abbiamo 4 milioni di aziende e oltre il 95% ha fino 5 addetti. Entra quindi in gioco l’informazione; sia a livello nazionale, sia a livello locale, su ciò che capita nel territorio; notizie che colpiscono sempre l’immaginario dei singoli….
Un'ultima considerazione riguarda i numeri. Oggi si richiama l'attenzione sui morti sul lavoro quando il numero della giornata è alto. Ma i media sono disattenti. E quando come oggi c'è un infortunio sul lavoro con 2 morti, ma che non risponde ai luoghi comuni, nessuno se ne accorge.
Oggi una frana ha distrutto un ristorante e sono morti il cuoco ed il proprietario...
Buona giornata a tutti
Carlo
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