Dresda. Cosa ci devono insegnare i bombardamenti sulle città

La notte dal 13 al 14 febbraio 1945, 77 anni fa, gli Alleati hanno bombardato Dresda. Non si trattava di una città industriale; era una città d'arte, praticamente indenne dai bombardamenti fino a quella notte. Da settimane era un nodo di smistamento di profughi, con un numero imprecisato di persone in fuga.  
Si era poco più di due settimane dopo la liberazione di Auschwitz e due giorni dopo la fine di Yalta. 
Le forze aeree che bombardarono erano principalmente britanniche; attuarono un bombardamento a tappeto. Sperimentarono la "tempesta di fuoco" con bombe al fosforo. 
Dopo la guerra ci furono battaglie di numeri. Da Adenauer che denunciava 250.000 morti (la città era affollata da profughi) a, 50 anni dopo, la Realpolitik che parlava di 22 - 25 mila morti.  Ragionevolmente i numeri sono dell'ordine di grandezza di Hiroshima.

Siamo in un' epoca in cui beceri interessi di parte, fanno strumentalizzare tragedie che meriterebbero rispetto. Siamo in un'epoca in cui si vuole distribuire equamente gli orrori della guerra, per rimettere in gioco chi è responsabile della tragedia dell Seconda Guerra Mondiale.. 
Ma le distruzioni di massa, le azioni criminali contro i civili, non meritano di essere inserite in una graduatoria. Descrivono la sofferenza che accomuna i Popoli, tutti vittime della guerra.
 
Letture come "Mattatoio numero 5" rendono l'idea e ci fanno vedere tante cose; per esempio le persone risucchiate per strada dal vento nei fuochi.
Racconti di prima mano ci fanno percepire altre cose: "Nell'aria c'era un forte odore di carne bruciata. Di carne umana bruciata! Non volevo respirare. Respirando facevo entrare i morti dentro di me!". 
Ma gli aviatori inglesi, autori del bombardamento, non erano "solo dei militari"; erano i figli, i fratelli, i fidanzati delle vittime delle V2. 

Insomma è una buona storia per riflettere. Per capire che per i popoli l'unica via è il pacifismo. Chi prova a strumentalizzare, è contro. Contro i Popoli.
Dovremmo pensarci in giorni come questi, in cui i potenti di nuovo  chiamano alle armi. 
Un augurio a tutti.  
Carlo

P. S.: nella diapositiva del 1946, mia madre con i miei fratelli, Elio e Franco. Da decenni il secondo sfotte l'altro, perché pur essendo più grande, dava la mano alla mamma. Anche questo ci racconta qualcosa. La storia la raccontano i sopravvissuti, ognuno dal suo punto di vista.

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