Il quesito del referendum sulle
trivelle é:
"Volete voi che sia abrogato
l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n.
152, “Norme in materia ambientale”, come sostituito dal comma 239 dell’art. 1
della legge 28 dicembre 2015, n. 208 “Disposizioni per la formazione del
bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilita’ 2016)”,
limitatamente alle seguenti parole: “per la durata di vita utile del
giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia
ambientale”?"
Ma cosa dice il comma 239 dell'art 1
della legge 28 dicembre 2015, n. 208. Innazi tutto occorre dire che si tratta
della Legge intitolata " Disposizioni per la formazione del bilancio
annuale e pluriennale dello Stato ("legge di
stabilita' 2016"). Ed è una legge fatta da un
articolo unico con 999 commi. Un
modo barbaro di legiferare, sviluppatosi con Berluscon , ma che piace
tanto anche a Renzi (in pratica quando sui va al voto è rpesetnato un unico
emendamento che cancella tutta la disucssione precedentemente svolta (o meglio,
la parte di discussione che non interessa al governo).
Il comma 239 dice:
"All'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3
aprile 2006, n. 152, il secondo e
il terzo periodo
sono sostituiti dai seguenti: «Il divieto e' altresi'
stabilito nelle zone di mare poste entro dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro
costiero nazionale e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere protette. I
titoli abilitativi gia' rilasciati sono fatti salvi per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia
ambientale. Sono sempre assicurate le attivita' di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza
degli impianti e alla tutela dell'ambiente nonche' le operazioni finali di ripristino ambientale».
Per capire siamo però costretti a vedere cosa diceva la legge prima della modifica voluta da Renzi. Il comma 17, prima della modifica diceva:
17. Ai fini di tutela dell'ambiente
e dell'ecosistema, all'interno del perimetro delle aree marine e costiere a
qualsiasi titolo protette per scopi di tutela ambientale, in virtù di leggi
nazionali, regionali o in attuazione di atti e convenzioni dell’Unione europea
einternazionali sono vietate le attività di ricerca, di prospezione nonché di
coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in mare, di cui agli articoli 4,
6 e 9 della legge 9 gennaio 1991, n. 9.
Il divieto è altresì stabilito nelle zone di mare poste entro
dodici miglia dalle linee di costa lungo l'intero perimetro costiero nazionale
e dal perimetro esterno delle suddette aree marine e costiere
protette, fatti salvi i procedimenti concessori di cui agli articoli
4, 6 e 9 della legge n. 9 del 1991 in corso alla data di entrata in vigore del
decreto legislativo 29 giugno 2010 n. 128 ed i procedimenti autorizzatori e
concessori conseguenti e connessi, nonché l'efficacia dei titoli abilitativi
già rilasciati alla medesima data, anche ai fini della esecuzione delle
attività di ricerca, sviluppo e coltivazione da autorizzare nell'ambito dei
titoli stessi, delle eventuali relative proroghe e dei procedimenti
autorizzatori e concessori conseguenti e connessi.
Le predette attività sono autorizzate previa sottoposizione
alla procedura di valutazione di impatto ambientale di cui agli articoli 21 e seguenti
del presente decreto, sentito il parere degli enti
locali posti in un raggio di dodici miglia dalle aree marine e
costiere interessate dalle attività di cui al primo periodo, fatte salve le
attività di cui all’articolo 1, comma 82-sexies, della legge 23 agosto 2004, n.
239, autorizzate, nel rispetto dei vincoli
ambientali da esso stabiliti, dagli uffici territoriali di vigilanza
dell’Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, che
trasmettono copia delle relative autorizzazioni al Ministero dello sviluppo
economico e al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare. Dall'entrata in vigore delle disposizioni di cui al presente comma è
abrogato il comma 81 dell'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239.
A
decorrere dalla data di entrata in vigore della presente disposizione, i
titolari delle concessioni di coltivazione in mare sono tenuti a corrispondere
annualmente l'aliquota di prodotto di cui all'articolo 19, comma 1 del decreto
legislativo 25 novembre 1996, n. 625, elevata dal 7% al 10% per il gas e dal 4%
al 7% per l'olio. Il titolare unico o contitolare di ciascuna concessione è
tenuto a versare le somme corrispondenti al valore dell'incremento
dell'aliquota ad apposito capitolo dell'entrata del bilancio dello Stato, per
essere interamente riassegnate, in parti uguali, ad appositi capitoli istituiti
nello stato di previsione del Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio e del mare e del Ministero dello sviluppo economico, per assicurare
il pieno svolgimento rispettivamente delle azioni di monitoraggio e contrasto
dell'inquinamento marino e delle attività di vigilanza e controllo della
sicurezza anche ambientale degli impianti di ricerca e coltivazione in mare.».
Quindi, al di la di alcune modifiche tecniche connesse a evoluzione già avvenuta della normativa i punti di interesse sono il prolungamento delle concessioni fino a esaurimento ed un generico richiamo alle manutenzioni per la tutela della sicurezza e dell'ambiente e il ripristino ambientale finale.
Gli esiti del referendum riguardano 21 concessioni (1% del fabbisogno di petrolio e 3% del fabbisogno di gas). Quindi (purtroppo) è una palla che se "vincono i SI" aumenta la dipendenza energetica dell'Italia. Il contributo di queste piattaforme è basso al confronto con una fonte fonte rinnovabile a vostra scelta.Di più. la norma favorisce uno sfruttamento lento dei giacimenti (vedi in seguito), e quindi aumenta la dipendenza dall'estero...
E' anche patetico asserire che ci sarebbe un problema occupazionale. A meno che, avere più occupati sia un problema per questo governo. Un riorientamento sulle fonti energetiche del paese produrrebbe molti più posti di lavoro.
Ma il vero problema sta nelle royalties, cioè nell'importo che le compagnie petrolifere pagano allo Stato italiano su quanto estraggono.
Per le estrazioni di petrolio in mare l'aliquota è del 7% e per l'estrazione di gas l'aliquota è del 10%. (aliquote così basse erano in passato adottate da repubbliche delle banane dove i soldi andavano direttametne aòl dittatore locale, ma sembra che oggi questo non accada più ...).
Per le estrazioni di petrolio in mare l'aliquota è del 7% e per l'estrazione di gas l'aliquota è del 10%. (aliquote così basse erano in passato adottate da repubbliche delle banane dove i soldi andavano direttametne aòl dittatore locale, ma sembra che oggi questo non accada più ...).
Ma il bello è che le royalies si pagano solo
se la produzione annuale supera le 50.000 tonnellate per il petrolio e
gli 80.000 metri cubi per il gas.
In pratica meno un impianto è produttivo, più è redditizio. Ed entro le 12 miglia 3 piattaforme su 4 non pagano le royalties. Questo non succede per piataforma in alto mare, perché sembra che i giacimenti siano comunicanti e può arrivare qualcuno ad estrarre da lontano
Resta il problema che se estrai poco, alla scadenza della concessione non hai esaurito quanto potevi estrarre.
E su questo è intervenuto il governo Renzi. In pratica governo e petrolieri hanno concordato di estrarre poco e non pagare le royalties. Inoltre, visto che è la compagnia petrolifera a stabilire quando il giacimento è esaurito, lo smantellamento delle piattaforme potrà non essere fatto mai.
Insomma se siete petrolieri votate no!
Ma se non siete petrolieri, mi spiegate come fate ad astenervi o a votare no?
Carlo
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